SPECULA
UN PROGETTO A CURA DI GIUSEPPE RAGO
Specula allude certamente alla grotta, anzi al sistema di grotte, al meandro dedalico rappresentato dal sito Santa Maria in Grotta (Rongolise di Sessa Aurunca, provincia di Caserta); diventa però anche una sorta di labirinto fisico, ma pure mentale, di sperimentazione ed elaborazione concettuale: perciò specula è pure imperativo, esortazione alla liberazione dell’immaginazione e del pensiero.
In questa duplice accezione sta dunque il senso di un progetto, fondato sulla serie infinita di suggestioni evocate dallo straordinario contesto di questa perla nascosta del territorio aurunco.
In questa duplice accezione sta dunque il senso di un progetto, fondato sulla serie infinita di suggestioni evocate dallo straordinario contesto di questa perla nascosta del territorio aurunco.
Tali suggestioni saranno qui di seguito enucleate, ben consapevoli che il lavoro cui siamo chiamati su di esse aprirà spazi concettuali a ulteriori contaminazioni di pensiero, in una gemmazione idealmente infinita.
I Anzitutto lo specifico strutturale: le due aule religiose, connesse fisicamente in età più tarda, e gli attigui locali adibiti a ricovero e abitazione, sono scavati nel banco di roccia; sono dunque un calco in negativo, approdo finale di un processo di sottrazione di materiale roccioso; ma sono anche spazi nuovi, invasi architettonici in positivo, dunque nuove aggiunzioni. Allo stesso modo l’involucro, cioè la linea di confine di questo spazio, ciò che lo perimetra (le “pareti” e il “soffitto”) è nuovo, perché creato dall’uomo, ma è al contempo materia geologica, da sempre esistita. Su questa dialettica tra sottrazione e aggiunzione, tra positivo e negativo, tra cavamento e configurazione di nuovi invasi spaziali si giocherà gran parte di questa elaborazione collettiva che vedrà impegnati gli artisti Guido Airoldi, Giuseppe Ambrosio, Nicca Iovinella, Franco Nuti, Maurizio Taioli e Lello Torchia.
II La seconda traccia è il gesto devozionale che configura, innerva di senso, trasforma e ha trasformato esso stesso quegli spazi. La gestualità della devozione, la meccanica, secolare iterazione del gesto liturgico o devozionale anche simbolicamente scava, sia pure in maniera impercettibile all’occhio e scarsamente apprezzabile sulla misura corta della vita di un individuo: scava simbolicamente perché capace di convertire i cuori di pietra; un gesto lento e cadenzato nel tempo lungo e che modifica le cose che ci paiono immutabili. Le reliquie di bronzo duro, o di pietra non sono forse lisciate dal bacio devoto dalla mano che le tocca nel secoli, nei millenni, e stempera le asperità, altera l’inalterabilità dell’icona (su tutte il piede del totemico San Pietro in Vaticano)? Ma in generale, quante volte anche noi ci troviamo di fronte a una maniglia lisciata dalle mani che l’hanno presa prima del nostro tempo? Non è forse in quel momento che percepiamo quanto sia capace di condensare un oggetto o un luogo che rechi in sé i gesti che l’hanno avvinto, il tempo che l’ha percorso?
III La terza traccia si basa sulla scabra ieraticità delle pareti, delle superfici bozzute, irregolari e nude; ieraticità che la luce radente enfatizza, che la forza ancestrale delle pitture parietali “primitive” non stempera distraendo dalla concentrazione ma anzi esalta, sia nella forza primigenia degli episodi di grande qualità, sia in quella archetipica delle immagini devozionali, solo apparentemente più grossolane e popolari. Uno scenario già compiuto, perfetto in sé perché costruito nei secoli e custodito dai secoli, già parte dell’opera e delle opere che, in installazione, andranno realizzandosi e collocandosi in quella sede.
I Anzitutto lo specifico strutturale: le due aule religiose, connesse fisicamente in età più tarda, e gli attigui locali adibiti a ricovero e abitazione, sono scavati nel banco di roccia; sono dunque un calco in negativo, approdo finale di un processo di sottrazione di materiale roccioso; ma sono anche spazi nuovi, invasi architettonici in positivo, dunque nuove aggiunzioni. Allo stesso modo l’involucro, cioè la linea di confine di questo spazio, ciò che lo perimetra (le “pareti” e il “soffitto”) è nuovo, perché creato dall’uomo, ma è al contempo materia geologica, da sempre esistita. Su questa dialettica tra sottrazione e aggiunzione, tra positivo e negativo, tra cavamento e configurazione di nuovi invasi spaziali si giocherà gran parte di questa elaborazione collettiva che vedrà impegnati gli artisti Guido Airoldi, Giuseppe Ambrosio, Nicca Iovinella, Franco Nuti, Maurizio Taioli e Lello Torchia.
II La seconda traccia è il gesto devozionale che configura, innerva di senso, trasforma e ha trasformato esso stesso quegli spazi. La gestualità della devozione, la meccanica, secolare iterazione del gesto liturgico o devozionale anche simbolicamente scava, sia pure in maniera impercettibile all’occhio e scarsamente apprezzabile sulla misura corta della vita di un individuo: scava simbolicamente perché capace di convertire i cuori di pietra; un gesto lento e cadenzato nel tempo lungo e che modifica le cose che ci paiono immutabili. Le reliquie di bronzo duro, o di pietra non sono forse lisciate dal bacio devoto dalla mano che le tocca nel secoli, nei millenni, e stempera le asperità, altera l’inalterabilità dell’icona (su tutte il piede del totemico San Pietro in Vaticano)? Ma in generale, quante volte anche noi ci troviamo di fronte a una maniglia lisciata dalle mani che l’hanno presa prima del nostro tempo? Non è forse in quel momento che percepiamo quanto sia capace di condensare un oggetto o un luogo che rechi in sé i gesti che l’hanno avvinto, il tempo che l’ha percorso?
III La terza traccia si basa sulla scabra ieraticità delle pareti, delle superfici bozzute, irregolari e nude; ieraticità che la luce radente enfatizza, che la forza ancestrale delle pitture parietali “primitive” non stempera distraendo dalla concentrazione ma anzi esalta, sia nella forza primigenia degli episodi di grande qualità, sia in quella archetipica delle immagini devozionali, solo apparentemente più grossolane e popolari. Uno scenario già compiuto, perfetto in sé perché costruito nei secoli e custodito dai secoli, già parte dell’opera e delle opere che, in installazione, andranno realizzandosi e collocandosi in quella sede.
Giuseppe Rago (Salerno, 1975) è storico dell’arte e dell’architettura ed ha insegnato a lungo, nonostante la giovane età, Lineamenti di storia dell’arte contemporanea per il corso di laurea in Scienze dell’architettura all’Università degli Studi Federico II di Napoli.
Ha curato per diversi anni la rubrica d’arte della rivista di design Casa Mia Decor e nel 2012 ha pubblicato per Carrocci Editore La residenza nel centro storico di Napoli. Dal XV al XVI secolo, volume che ricostruisce e analizza la specificità dei manufatti abitativi partenopei tra il '400 e il '500. Ha inoltre pubblicato saggi e articoli scientifici, focalizzati sull’architettura rinascimentale e barocca a Napoli e in Italia, per numerose riviste di carattere nazionale e internazionale.
Fruttuosa e felice è la sua relazione con l’arte contemporanea; ha curato, tra le altre, mostre degli artisti: Riccardo Dalisi, Umberto Manzo, Pietro Lista, Ernesto Tatafiore, Armida Gandini, Lello Torchia, Vincenzo Rusciano, Fabio Torre, Elio Waschimps, Camillo Ripaldi, Gabriele Mattera e Abel Herrero.
Ha curato per diversi anni la rubrica d’arte della rivista di design Casa Mia Decor e nel 2012 ha pubblicato per Carrocci Editore La residenza nel centro storico di Napoli. Dal XV al XVI secolo, volume che ricostruisce e analizza la specificità dei manufatti abitativi partenopei tra il '400 e il '500. Ha inoltre pubblicato saggi e articoli scientifici, focalizzati sull’architettura rinascimentale e barocca a Napoli e in Italia, per numerose riviste di carattere nazionale e internazionale.
Fruttuosa e felice è la sua relazione con l’arte contemporanea; ha curato, tra le altre, mostre degli artisti: Riccardo Dalisi, Umberto Manzo, Pietro Lista, Ernesto Tatafiore, Armida Gandini, Lello Torchia, Vincenzo Rusciano, Fabio Torre, Elio Waschimps, Camillo Ripaldi, Gabriele Mattera e Abel Herrero.